Parlando con Livia in un piacevolissimo scambio a proposito del progetto M3K e di idee per la Phyto Erxtreme Community, è spuntato fuori l’argomento del Photovoice. Sapete che cos’è? Cerco di riassumere. L’uso delle immagini per veicolare messaggi, idee, emozioni è ormai diventato parte della nostra quotidianità. La diffusione degli smartphone e di applicazioni che si basano principalmente sulla condivisione di immagini quotidiane ha reso la fotografia accessibile alla maggior parte delle persone, in tempi sempre più veloci e immediati. La fotografia è anche molto usata nelle discipline umanistiche, dalla fotografia documentaristica all’uso delle immagini nella terapia individuale.
Ma è possibile usare la fotografia per promuovere il cambiamento sociale?
Questa è la sfida della metodologia photovoice.
Il photovoice è un metodo di ricerca-azione partecipata usato nell’ambito della psicologiadi comunità e delle discipline socio-pedagogiche, soprattutto per «dare voce» a persone escluse dai processi decisionali.
A gruppi di persone (da 5 a 12 in media) viene affidato un compito fotografico su un determinato tema d’interesse a cui rispondere con delle fotografie. Le immagini scattate dai partecipanti (in genere da un minimo di 3 a un massimo di 10) dovrebbero raccontare i loro vissuti, le loro storie, idee, emozioni legate a quel tema. Le fotografie vengono condivise in gruppo e discusse così da far emergere i punti di vista di tutti i partecipanti sul tema in oggetto, evidenziando punti in comune ed eventuali divergenze. La fotografia, dall’essere scatto individuale,diventa strumento di riflessione condivisa del gruppo. Gli obiettivi della tecnica
Sintetizzando, gli obiettivi principali di un processo di photovoice rimandano a tre livelli di lavoro.
Valutare e documentare bisogni e problemi di una comunità o di un contesto, ma anche le risorse.
Promuovere la riflessione e il dialogo critico su questioni importanti per la comunità o il contesto, attraverso la discussione delle fotografie.
Promuovere un cambiamento sociale attraverso l’azione collettiva, raggiungendo la comunità più allargata.
Tenere insieme questi tre livelli è la sfida più grande per chi conduce un processo di photovoice, dove si mette in gioco anche una dinamica di potere simmetrica tra partecipanti e professionisti, tipico della ricerca-azione partecipata. Usi in ambito sociale
Il photovoice è stato impiegato con gruppi di persone, ambiti e contesti molto differenti. Questa tecnica, infatti, ha alcuni vantaggi che la rendono facilmente adattabile: è molto flessibile perché l’intero processo è guidato dai partecipanti, che possono scegliere il tema, che fotografie scattare, come organizzare l’evento finale e chi coinvolgere; usa un linguaggio visivo che consente anche alle persone che hanno difficoltà a esprimersi di raccontare la propria esperienza; i partecipanti guidano le analisi delle fotografie discutendo insieme i temi e le determinanti che incidono sul problema o le risorse trattate.
Il photovoice è un metodo di intervento sociale che promuove consapevolezza e partecipazione, ma spesso viene usato come strumento di ricerca qualitativa, volto a indagare bisogni e risorse di una comunità. Negli anni abbiamo realizzato e collaborato a diversi progetti che hanno coinvolto cittadini, studenti universitari, ragazzi adolescenti, persone senza dimora, donne che hanno vissuto la malattia oncologica, usato in ricerche cross-national o per promuovere il cambiamento in ambienti lavorativi e ancora per favorire l’integrazione sociale di persone in situazioni svantaggiate.
Mi piacerebbe applicare il Photovoice per documentare la nostra esperienza M3K!!! In parte la stiamo facendo con dei saltuari articoli sull esperienze dei singoli. Ma potremmo raccontare di più o indire un concorso Photovoice.
L’articolo completo “La tecnica del Photovoice” è disponibile sul numero di agosto 2022 della rivista Erickson “Lavoro sociale”.
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